giovedì 8 novembre 2012

Sahara: Spade, donne e malocchio.






Molte leggende dei Tuaregh Kel Azben hanno come protagonisti eroi mitici delle montagne dell'Air e dell'Hoggar da dove originariamente provengono queste tribù.
Nei racconti della sera si canta degli antichi abitatori delle montagne: gli eroi sono Hoggar, Elias, Alamallem, celebri per le loro imprese di cacciatori; i loro nomi sono gli stessi dei picchi più noti e alti di quelle catene.
A ognuna di queste montagne è attribuita una personalità precisa, corpo e anima; una montagna ad esempio può innamorarsi di un'altra.
Una sera Mussa ci canta dell'amore di Ilamen e Terelrelt e si racconta che il picco di Ilanem è un maschio sperone roccioso orgogliosamente puntato verso il cielo, innamorato della sottile elegante collina Terelrelt ; e tanto Ilamen ama Terelrelt da contenderla con le armi al vicino monte Amga; nella feroce battaglia Ilamen perde un braccio, mentre il suo rivale Amga è ferito di lancia al fianco.
Qui Mussa arresta il canto, il suono dell'imzad cessa e viene spiegato ai bambini il senso della leggenda: da quella ferita è nata la sorgente perenne che sgorga sul fianco della montagna Amga.







Racconti e leggende, almeno quelli ascoltati qui tra i Tuaregh di Mussa, hanno sempre un loro momento epico, la descrizione di battaglie, di lotte, di combattimenti: è allora che la Takouba ( la spada ) diventa protagonista dei racconti quanto l'amore e le donne.
Un ennesimo canto di combattimento ci dà lo spunto per portare il discorso sulle armi dei guerrieri Tuaregh e, particolarmente, sulla takouba; chiediamo a Mussa e agli altri armati del campo di mostrarci come la usano: in tante settimane passate tra loro non ho mai visto sia servita a qualcosa.
"E' per i leoni, Mussa? o per cacciare le antilopi?".
Mussa ride: per i leoni e le antilopi ci vuole il fucile, o almeno la lancia, la takouba serve solo nei combattimenti da uomo a uomo.
"Ma ora sono rari", obiettiamo noi, e lei risponde che la takouba serve anche per cacciare gli spiriti. "Gli spiriti, e quali?".
"Quelli del malaugurio, quelli del malocchio: bisogna combatterli quando si pone o si leva il campo là dove la fortuna in passato non è stata propizia".
A nord di Ghobò abbiamo l'occasione di renderci conto quanto le parole di Mussa abbiano un loro preciso significato.







Risaliamo verso nord, per seguire il gruppo di Mussa, durante una sua marcia verso migliori pascoli; dopo due giorni di cammino, l'intero gruppo si ferma per piantare le tende e per preparare i recinti degli animali.
"Come sorgenti d'acqua e come pascolo va bene", dice Mussa indicandoci la pianura, "e dobbiamo fermarci qui, perché non ci sono altri pozzi nella zona. Ma a me non piace: è zona di malocchio e infatti i medici bianchi sono stati qui, nelle stagioni passate, per curare animali colpiti da molte malattie".
Mussa si fermerà lo stesso, però: non ha altra scelta, e poi non ha paura, sa come cacciare 
lontano, con la sua takouba, gli spiriti del male.
Mentre le donne sono intente a montare le tende, gli uomini si appostano e le vediamo estrarre le spade dai foderi; man mano che le stuoie si alzano e prendono la forma di tetti e di pareti, e mentre i pastori servi neri preparano i recinti per gli animali, i Tuaregh a tre per tre, uno di fronte all'altro, con gesti evidentemente legati a precise formule cabalistiche, iniziano un duello contro un avversario invisibile, un duello contro il vuoto.





Il combattimento ha l'eleganza di un ballerino, le spade ruotano veloci, sembrano dover colpire ogni volta l'avversario immaginato nella zona compresa fra la punta delle tre spade; i duellanti si dispongono a stella, circondano il nemico, lo spaventano con finte, lo colpiscono, infine affondano le spade in uno slancio improvviso.
Questa mimica dettata da una precisa tradizione continua finchè le donne scompaiono all'interno della tenda per non più ricomparire; il loro lavoro di allestimento del campo è terminato.