giovedì 11 ottobre 2012

Racconti di viaggio: Uganda, nel cuore dell'Africa.

Racconti di viaggio: Uganda, nel cuore dell'Africa.





L'Uganda è un Paese dimenticato da molti anni e oggi tutto da riscoprire, paradiso incontaminato e porta aperta verso L'Africa selvaggia.





Ci siamo, domani all'alba si parte.
Sembra impossibile ma il grande giorno è arrivato.
Mai il suono della sveglia è stato il ben venuto come oggi; inizia l'agitazione e l'attesa, poi, finalmente, si decolla.
Il profumo dell'Africa si è già impadronito di me, dei miei polmoni, dei miei abiti, della mia pelle.
Kampala è la tipica città africana piena di vita, di rumori, di macchine che si infilano da tutte le parti, dove i semafori sono pochissimi e sostituiti dagli immancabili clacson.
Ed eccoli, i marabù: sui tetti e nei giardini, come sentinelle impassibili, qusti bizzarri uccelli giganti si aggirano tra i rifiuti svolgenti un ruolo ecologico importantissimo.
E' mattina. Saliamo su una barca veloce che scivola per un'ora tra le isole del lago Vittoria.
L'isola di Ngamba è un santuario per la protezione dei scimpanzé orfani e quelli che venino sequestrati in dogana, a qualche delinquente che pensava di portarsi un pezzo d'Africa nel suo appartamento a Milano o New York; ancora peggiore è la sorte degli scimpanzé trovati incatenati e usati nei circhi locali o come animali da compagnia sin tanto che non diventano troppo grossi per non poterli più trattare come cagnolini e non si esiti a imprigionarli e incatenarli.
I più fortunati vengono scoperti e portati qui.





La riserva appartiene, come quelle del Kenya, Tanzania e Repubblica democratica del Congo, alla fondazione di Jane Goodall, la donna che ha fatto conoscere gli scimpanzé in tutto il mondo, quella che ha scoperto che anche questi animali usano gli utensili gettando sgomento nel mondo scientifico perché, come disse il famoso paleontrapologo Louis Leakey, "Ora dobbiamo ridefinire l'uomo, ridefinire gli utensili o accettare gli scimpanzé come esseri umani".
Ma al di là di tutte le prove scientifiche, basta guardargli negli occhi, e l'1,6 per cento di dna che ci separa svanisce.
Riprendiamo la strada, finalmente raggiungiamo il Kibale National Park.
Scendo dalla jeep e sono già pronta, ho tutto quello che mi serve per inoltrarmi nella foresta alla ricerca degli scimpanzé.
Siamo fortunatissimi, siamo soli con la guida, lungo la strada sono circondata da farfalle che al mio passaggio disegnano nuvole di colore.






Il sentiero diventa sempre più stretto, siamo senza machete e progrediamo a fatica, il sottobosco è fittissimo e, man mano che avanziamo, cresce in me l'agitazione.
Il primo nido notturno è un tuffo al cuore: ci siamo, li sentiamo, urla e rumore di rami spezzati ci fanno capire che sono lì, a pochi passi, nascosti alla vista solo dal folto della vegetazione.
Il nostro primo scimpanzé ci accoglie silenzioso facendoci la pipì in tsta; non importa, continuano ad avanzare e ci accorgiamo che stiamo camminando su su un tappeto di frutti simili alle nostre albicocche: sono la ghiottoneria degli scimpanzé, che, sui rami sopra di noi, mangiano con gusto questi frutti, con le mani li aprono a metà e addentano la parte più dolce, quella intorno al nocciolo, per poi lasciare cadere il resto.

E' tutto un tonfo, non sappiamo più dove guardare, il profumo dolciastro dei frutti in decomposizione ci stordisce, è troppo bello per essere vero!.









E' sera, siamo arrivati al Queen Elizabeth National Park, passiamo il gate e come sempre, malgrado la luce se ne stia andando, mi alzo in piedi sul sedile della jeep, quasi a catapultarmi nell'immensità.
Respiro a pieni polmoni l'aria di sole e di savana, un ippopotamo dietro una curva ci dà il benvenuto.
Siamo al Mweya Safari Lodge.
E' bellissimo, il lago Edward da una parte e il canale Karinga dall'altra.
Bande di manguste si aggirano incuranti degli uomini, il loro sguardo è oltre, spariscono con la rapidità con cui sono comparse.
I gechi sfidano la forza di gravità, consumano silenziosi la loro cena, le aquile pescatrici con il loro lamento si gettano nel canale per riemergere con un pesce tra gli artigli.
Siamo seduti nella veranda della nostra camera godendoci un po' di relax e a pochi metri da noi avanza inginocchiata e silenziosa una famiglia di facoceri intenta a brucare l'erbetta fresca.
Si fermano davanti a noi e la macchina fotografica diventa incandescente.
E' l'alba, progediamo lentamente, fermandoci a ogni istante, e ben presto scorgiamo il primo gruppo di elefanti che pigramente sta risalendo dal canale; animali in continuo movimento attraverso il Q.E.N.P alla ricerca di acqua, cibo e ombra.
Scorgiamo i leoni che si crogiolano nella loro pigrizia senza perde d'occhio i cuccioli impegnati in agguati immaginari.











I kilometri e le ore scorrono veloci.
In barca risaliamo il canale Kazinga sino al lago George, un ranger del parco ci accompagna, mandrie di elefanti scesi ad abbeverarsi popolano le rive, bufali e ippopotami ricoprono l'acqua, aironi, aquile, pellicani, cormorani e molti altri uccelli si alzano in volo al nostro passaggio.
Un altro giorno, un'altra emozione, ancora loro, gli scimpanzé.
Siamo nel Kyambura Gorge e, dopo un breve breafing con i ranger, partiamo alla loro ricerca.
Siamo così concentrati sugli scimpanzé che non apprezziamo la presenza di tutte le altre scimmie che guardano curiose.
Ci imbattiamo in un enorme albero caduto che il caso ha trasformato in ponte naturale.
Un senso di inquietudine mi assale.
Come prevedevo, il ranger ci dice che dobbiamo attraversarlo.
Ci guardiamo tutti, senza sapere cosa dire, eccitati dall'idea di fare un'esperienza degna di Indiana Jones, ma impauriti pensando all'eventualità di cadere nell'acqua sottostante che scorre veloce, anche se in fondo la paura più che per me è per il mio binocolo e la mia macchina fotografica.









I ranger, con la disinvoltura data dalla quotidiana esperienza, passano sull'altra sponda velocemente.
Quando arriva il mio turno tutto si blocca, il mio procedere è così lento che sembro ferma, ma ce la faccio, il richiamo degli scimpanzé è troppo forte.
Purtroppo il tempo in Africa passa così velocemente che è già ora di risalire il sentiero.
Ripartiamo e, lungo una strada di un rosso africano, con buche africane, attraversiamo villaggi sperduti dove il tempo è scandito da movimenti antichi.
Ancora un giorno e potrò incontrare i gorilla.
Desidero questo momento da sempre, e ora che il mio sogno si sta realizzando, ho il terrore che succeda qualcosa.
Gli ibis ci danno la sveglia. Arriviamo al confine con il Rwanda che la dogana è ancora chiusa; aspettiamo, arriva il funzionario ugandese, ci controlla i passaporti e ci lascia passare: siamo nella terra di nessuno, quella compresa tra le due sbarre che separano due stati. La sbarra si alza.
Rwanda, il paese delle mille colline.











Due parole si rincorrono nella mia mente: Hutu e Tutsi, una lingua, una religione, un popolo che l'arroganza e la malvagità di noi occidentali ha condannato al genocidio.
Sento su di me una cappa di dolore inespresso, che mi toglie il fiato; scruto il volto delle persone che incontro per cercar di capire...ma non ci riesco.
Dappertutto ci sono cartelli che invitano alla riconciliazione, si cerca di ricostruire la dignità di un popolo, parlo a lungo di questo con un rwandese, ma non trovo risposte alle mie domande.
Il lucido pavimento bianco dell'atrio del Gorilla Nest ci accoglie.
Guardo i miei scarponi ricoperti di fango, cerco di pulirli come posso ma è un'impresa disperata. Decido così di toglierli, sotto gli occhi divertiti del personale del lodge.
Pioviggina, le cime dei vulcani Karisimbi, Bisoke, Sabyniyo, Gahinga e Muhabura sono circondate da strati di nubi.
Le guide del Parc des Volcanos ci accolgono sorridenti, si vede che amano il proprio lavoro.
In Rwanda tutti i gorilla sono controllati a vista da ranger armati che dall'alba al tramonto li sorvegliano dal pericolo dei bracconieri.
Si, perché può sembrare impossibile, ma esistono ancora i bracconieri.
Si formano i gruppi, tutti abbiamo negli occhi la stesa eccitazione e la consapevolezza che stiamo per condividere un momento importante.
Con la macchina ci avviciniamo al punto d'incontro con la scorta armata.
Il sentiero fangoso da subito si inerpica ripido, si procede di buon passo, gocce di sudore mi scendono negli occhi, percepisco che l'acqua prigioniera nel mio corpo piano piano lo abbandona.
La foresta che attraversiamo è bellissima, fitta, inaccessibile, ricca di vita e di umidità.
Ma ecco i gorilla!








Il sudore, la fatica e la stanchezza svaniscono di colpo, non si ha più né sete né fame, lo spettacolo del silverback che avanza pacifico tra i rami toglie il fiato.
I gorilla sono dappertutto, divisi in piccoli gruppi, le femmine cullano i loro piccoli tra braccia possenti eppure il gesto è delicato.
Ci guardano, i cuccioli ci sfidano, alcuni simulano attacchi e il rumore della nocche sul petto fa una certa impressione.
Quello che mi colpisce non è quello che fanno, ma come lo fanno.
Giocano, si rincorrono, si grattano, si siedono come noi.
A un certo punto siamo tutti così concentrati su un gruppo di giovani e non ci accorgiamo che una mamma con il suo piccolo cammina tra di noi, appoggia delicatamente la sua mano sulla spalla di un ragazzi australiano chinato per fotografare, quasi a chiedere il permesso; il ragazzo si gira, pensa che sia uno di noi, il tempo si ferma...Poi, mamma con il cucciolo passa oltre e, ignara del regalo che ci ha fatto, raggiunge il suo gruppo.
Anche questa volta non andrò a visitare la tomba di Dian Fossey e di Digit: so che lei non approverebbe tutti questi turisti che violano le sue montagne e i suoi gorilla.





Tutta l'umanità ha un debito di riconoscenza nei suoi confronti, è grazie a lei se oggi questi primati sopravvivono.
lasciamo il Rwanda e rientriamo in Uganda.
Il momento tanto temuto è arrivato, è il momento dei saluti, degli abbracci e delle promesse.
Non ci sono parole per descrivere cosa provo ogni volta che lascio l'Uganda: è un pugno nello spomaco che mi toglie il respiro, è un magone che nasce dal cuore e sale sino agli occhi, sono lacrime di gratitudine e di disperazione che non riesco a trattenere.
So che tornerò ma in quel momento so solo che sto partendo.




Video: I viaggi di Scientia Antiquitatis.
Uganda-Rwanda