mercoledì 19 aprile 2017

Ambiente: Due terzi del reef in Australia colpito da sbiancamento


Già morti metà coralli in località turistiche più frequentate




Uno sbiancamento senza precedenti dei coralli nelle due ultime estati australi ha impattato su due terzi della Grande Barriera Corallina dell'Australia, e l'evento di quest'anno ha già causato la moria di metà dei coralli in alcune delle più frequentate aree turistiche. L'allarme viene dagli scienziati del Centre for Excellence for Coral Reef Studies, che hanno appena completato una ricognizione dell'area della più grande struttura vivente al mondo, patrimonio mondiale Unesco, studiando 800 diverse barriere coralline lungo un arco di 8000 km. I risultati mostrano che i due eventi consecutivi di sbiancamento hanno colpito un tratto di 1500 km, lasciando indenne solo una sezione di un terzo a sud. La preoccupazione è per la prossimità dei due eventi di sbiancamento del 2016 e del 2017, che non ha precedenti per la Grande Barriera e dà ai coralli poche possibilità di recuperare. La ricognizione ha seguito lo stesso percorso della precedente del 2016, che aveva trovato come le regioni settentrionali fossero le più colpite.




Quest'anno il peggio dello sbiancamento è più a sud, nelle sezioni turisticamente più popolari fra Townsville e Cairns. Lo sbiancamento di massa, un fenomeno causato da aumenti delle temperature di superficie causati dal riscaldamento globale, è avvenuto nella Grande Barriera solo quattro volte da quando si sono iniziate le rilevazioni. I coralli si sbiancano quando le temperature eccedono troppo a lungo i livelli di tolleranza, inducendo i coralli a espellere le alghe che forniscono la maggior parte dell'energia e quindi i brillanti colori. Non tutti i coralli sbiancati muoiono, nelle regioni a nord sono periti due terzi dei coralli.
"La mortalità nella regione centrale continuerà nei prossimi mesi", riferisce il direttore del Centro, Terry Hughes. Mentre l'evento di quest'anno non si prevede risulti in una mortalità pari allo scorso anno, vi sono segni preoccupanti che i coralli si sbianchiscano a temperature più basse dello scorso anno.





Natura: Elefanti trasportano semi piante a distanze record,fino 65km


Sono i 'custodi' della biodiversità nella savana




Semina da record per gli elefanti della savana: dopo aver mangiato i frutti delle piante che incontrano lungo il cammino, sono capaci di disperderne i semi fino ad una distanza di 65 chilometri, dando così un contributo fondamentale alla conservazione della biodiversità del loro ecosistema. Lo dimostra una ricerca pubblicata sulla rivista Biotropica dall'ecologa Katherine Bunney dell'università sudafricana di Pretoria.

La ricercatrice ha cominciato il suo studio esaminando attentamente le funzioni fisiologiche di quattro elefanti che vivevano in un rifugio vicino al Kruger National Park in Sud Africa: in questo modo ha verificato che la maggior parte dei semi ingeriti con la frutta impiega 33 ore di tempo per percorrere i 20 metri dell'apparato digerente dei pachidermi ed essere eliminata attraverso le feci, mentre piccole quantità di semi 'ritardatari' possono impiegare fino a 96 ore.




Per completare il quadro, la ricercatrice ha stimato le distanze percorse dai giganti della savana analizzando i dati raccolti per otto anni su 38 elefanti muniti di radiocollare all'interno del Greater Kruger National Park. Dall'incrocio dei dati, è emerso che ciascun elefante semina la metà dei semi ingeriti ad una distanza di 2,5 chilometri, mentre l'1% dei semi può essere trasportato ad oltre 20 chilometri di distanza. In casi estremi, i semi possono essere trasportati anche a 65 chilometri, ad esempio quando l'elefante maschio si sposta in cerca di una partner. Meglio di lui possono fare solo gli uccelli migratori, che disperdono i semi anche a 300 chilometri di distanza. Gli elefanti della foresta si fermano a 6 chilometri, i cercopitechi verdi arrivano a 850 metri, mentre le formiche fanno a mala pena un metro.






Le Sacre Grotte di Piyang, uno dei luoghi più misteriosi della Terra


Le tradizioni locale fanno risalire l’utilizzo delle grotte ad un periodo molto antico, quando le divinità abitavano sulla terra. Per questo motivo, molto templi sono stati costruiti nelle vicinanze e tutta la regione è ritenuta sacra dai nativi.





Il Tibet, uno dei luoghi più misteriosi e sacri dell’umanità, conserva numerosi segreti di un remoto passato, normalmente inaccessibili ai semplici turisti.
Tra questi, ci sono le Grotte di Piyang, uno dei siti archeologici più importanti del Tibet, situate nella parte occidentale del paese, in prossimità del Sacro Monte Kailash.
“A Piyang ci sono più di 1100 grotte di varie forme e dimensioni, alcune delle quali sono chiaramente siti abitativi, mentre altri sono probabilmente grotte utilizzate per la meditazione”, spiega l’archeologo americano Mark Aldenderfer, professore presso l’Università della California.
I lavori di scavo eseguiti nel sito di Piyang, in collaborazione con un gruppo di archeologi cinesi, sono stati il tentativo di dimostrare la veridicità delle fonti documentarie.
“Avendo una conoscenza sull’antico biddismo tibetano così scarsa, siamo stati fortunati a poter collaborare con Huo Wei e Li Yongxian, due archeologi del dipartimento di storia della Sichuan Union University a Chengdu. Per quanto ne so, è la prima collaborazione tra archeologi cinesi e occidentali in Tibet”, racconta Aldenderfer.
Le Grotte di Piyang non sono l’unico complesso oggetto di esplorazione. Molti altri siti simili sono sparsi in tutto l’enigmatico altopiano del Tibet. Alcuni sono stati scolpiti dalle forze naturali, altri sono evidentemente di origine artificiale, ma sicuramente sono tutti molto antichi.
Gli esseri umani hanno cominciato ad abitare in questa zona del Tibet ben 21.000 anni fa, quindi è molto probabile che ci siano numerosi artefatti sepolti nelle grotte tibetane, nei tunnel e in altre zone misteriose ancora inesplorate.
Le tradizioni locale fanno risalire l’utilizzo delle grotte ad un periodo molto antico, quando le divinità abitavano sulla terra. Per questo motivo, molto templi sono stati costruiti nelle vicinanze e tutta la regione è ritenuta sacra dai nativi.
E’ possibile ammirare molte pitture preistoriche, murales, sculture e nicchie decorate con pregevoli dipinti. Ma il vero oggetto del desiderio degli archeologi è il ritrovamento di un qualche antico documento scritto, che al momento nessuno è stato ancora in grado di individuare.
Il complesso di Piyang copre una superficie di 10 chilometri quadrati, ed è estremamente complessa la sua esplorazione. ”Stiamo solo cominciando a capire la vera importanza delle grotte sacre del Tibet”, spiega Aldenderfer.
“La vastità della regione richiede uno sforzo enorme. Inoltre, il fatto che sia una terra ritenuta sacra crea non pochi problemi per l’accesso ai siti di interesse archeologico. Una volta le grotte erano meta di pellegrinaggi, ma oggi il sito è chiuso al pubblico”.
Solo in tempo e una buona dose di pazienza permetterà agli archeologi di svelare i segreti delle Sacre Grotte di Piyang.


lunedì 17 aprile 2017

Taiwan mette al bando la carne di cane


Primo paese in Asia, multe fino a 8.000 euro




Per la prima volta un Paese asiatico, Taiwan, proibisce con sanzioni fino a 250mila dollari taiwanesi (pari a 8mila euro) il consumo di carne di cane e gatto, un tempo assai diffuso sull'isola. Lo rende noto l'Ente nazionale protezione animali (Enpa) sul suo sito.

La nuova legge sancisce il ruolo degli animali domestici nella società taiwanese (oggi sono considerati compagni di vita, non cibo) e prevede un inasprimento delle pene per i reati di maltrattamento, con la reclusione fino a due anni e una multa fino a 60mila euro.

Nel dicembre del 2016 la città di Seongnam in Corea del Sud ha vietato la macellazione di cani a scopo alimentare e ha chiuso il suo macello, il maggiore del paese. In Corea la carne di cane è considerata una prelibatezza ed il consumo è molto diffuso. In Cina nella città di Yulin si tiene ogni anno un festival della carne di cane, che da alcuni anni suscita accese proteste degli animalisti.


Ambiente: Bolle di gelatina per sostituire bottigliette di plastica


Inventate da startup GB, membrana commestibile contiene bevanda




Una sfera trasparente di gelatina, grande come una pallina da ping pong e piena di acqua o altre bevande. E' l'invenzione di una startup londinese per sostituire le bottigliette di plastica che inquinano l'ambiente. Le "Ooho balls", così si chiamano, sono state presentate a Londra e San Francisco dalla società Skipping Rocks Lab, fondata a Londra da tre giovani ingegneri spagnoli.

Le "bolle d'acqua" sono fatte di una gelatina sottile, elastica e trasparente, prodotta con alghe e totalmente commestibile. Si infilano in bocca e si rompono fra la lingua e il palato, ingoiando la bevanda contenuta e gettando la membrana che la conteneva, come la buccia di un frutto. La membrana è biodegradabile in 4-6 settimane e costa meno di una bottiglia di plastica.

Per produrre le bolle si immergono pezzi di ghiaccio in una soluzione di cloruro di calcio e alghe. Intorno al ghiaccio si forma una membrana, e quando il ghiaccio si scioglie, la bolla è pronta.

Skipping Rocks Lab ha inventato le palline nel 2014 e ora sta raccogliendo fondi per avviare la produzione. Per lanciare le Ooho balls si pensa di partire da eventi sportivi e concerti. Se l'invenzione avrà successo, la startup conta di usarla anche per le bevande alcoliche, mercato molto più ricco.




C'è materia oscura intrappolata nel sole?’


Per spiegare alcune discrepanze tra teoria della struttura solare e osservazioni, un gruppo di ricercatori ha proposto un nuovo modello secondo il quale la materia oscura, con alcune proprietà specifiche (detta asimmetrica), si accumulerebbe nel nucleo solare influenzando il trasporto del calore all'interno dell’astro. Inoltre essa potrebbe modificare, fra l’altro, sia le proprietà "meccaniche", studiate con la cosiddetta "eliosismologia", sia il flusso di neutrini emessi.







Secondo uno studio pubblicato su Physical Review Letters, alcune discrepanze non ancora spiegate tra i modelli matematici che descrivono la struttura del Sole e le osservazioni astronomiche potrebbero essere risolte assumendo che nella nostra stella si celi la materia oscura.
Questo modello, secondo cui la materia oscura avrebbe una interazione “speciale” con la materia ordinaria, spiegherebbe i dati osservativi in maniera più accurata rispetto ai modelli più convenzionali che tentano di svelare i segreti di questa enigmatica componente.
Il modello standard del Sole, derivato dalle misure della luminosità solare e da altri dati osservativi, ci permette di capire come varia la temperatura e la densità della nostra stella.
Questo modello ha avuto a lungo un grande successo ma di recente è entrato in conflitto con le osservazioni eliosismologiche che permettono di misurare la velocità delle onde di pressione che si propagano all’interno del Sole, la profondità dell’inviluppo convettivo e il flusso di neutrini.
Per risolvere le discrepanze tra la teoria e le osservazioni, i ricercatori hanno cercato di vedere se esistono dei modi alternativi, e più efficienti, con cui il calore può raggiungere la superficie del Sole a partire dal suo nucleo.
Una possibilità è che l’astro possa contenere in qualche modo la materia oscura, intrappolata, grazie alle collisioni e ad effetti di cattura gravitazionale, man mano che essa passa attraverso l’alone galattico. In questo modo, sarebbe la materia oscura a trasportare il calore dal nucleo fino agli strati esterni, e più freddi, del Sole.
Ma di quale tipo di particelle stiamo parlando? Sappiamo che i fisici hanno ipotizzato numerose candidate: esse vanno dalle WIMP (Weakly Interacting Massive Particles), ossia particelle massive che interagiscono debolmente con la materia ordinaria, agli assioni per arrivare alle particelle supersimmetriche, come i neutralini.
Più di recente, però, sono stati formulati dei modelli basati su un tipo di materia oscura costituita leggermente da meno antimateria, detta “materia oscura asimmetrica”: in questo caso non ci sarebbero delle annichilazioni, non essendoci in giro le relative antiparticelle, che potrebbero far decrescere la sua densità all’interno del Sole.
Dunque, partendo da questa ipotesi, Aaron Vincent della Durham University in Gran Bretagna, assieme ai colleghi dell’Imperial College di Londra e dell’Istituto di Scienze Spaziali in Spagna, hanno provato a verificare come l’interazione tra le particelle di “materia oscura asimmetrica” e la materia ordinaria potrebbe descrivere meglio le osservazioni.
Confrontando, in tre modi diversi, i parametri ricavati dalle osservabili con quelli previsti dal modello standard della struttura solare e con i modelli che incorporano l’interazione della materia oscura con la materia ordinaria, gli scienziati trovano solo in un caso la migliore descrizione dei dati se si assume che le particelle di materia oscura abbiano una massa di 3 GeV, mentre né il modello standard della struttura solare né gli altri due, basati sulla materia oscura, forniscono dei valori consistenti con i dati osservati.
Le particelle di materia oscura che mostrano una consistenza con i dati dell’eliosismologia sono caratterizzate da un libero cammino medio più grande all’interno del Sole e perciò trasportano il calore verso gli strati più esterni in maniera più efficiente.
Secondo Vincent questa interazione non avrebbe a che fare con le quattro interazioni fondamentali note, ma addirittura potrebbe rappresentare una sorta di nuova interazione tra la materia oscura e le particelle della materia ordinaria.
Insomma, tradotto in altre parole, gli scienziati hanno considerato un certo tipo di materia oscura, che è comunque consistente con i limiti imposti dagli attuali esperimenti, e hanno provato a verificare se essa risolve un problema osservativo che dura ormai da qualche tempo.
I ricercatori sperano ora di sviluppare il loro modello per capire ancora più in dettaglio le modalità di questa interazione dato che esiste uno zoo di possibili candidate che potrebbero spiegare tale processo. Si spera che gli esperimenti che saranno realizzati prossimamente col Large Hadron Collider (LHC) e con i rivelatori sotterranei, come il Super Cryogenic Dark Matter Search (SuperCDMS), potranno confermare, o smentire, l’esistenza di queste particelle di materia oscura asimmetrica.
Secondo Vincent potremmo essere vicini alla soluzione del mistero. L’obiettivo sarà quindi quello di verificare se abbiamo trovato davvero una indicazione dell’esistenza di materia oscura intrappolata nel Sole o se invece ci siamo imbattuti in qualcosa d’altro che assomiglia da un punto di vista matematico alla materia oscura ma in realtà è qualcosa di più sottile che sta avvenendo nel Sole.
«Il lavoro è molto interessante», spiega a Media INAF Nicolao Fornengo del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino e INFN. «La difficoltà dei modelli solari nel riprodurre le misure di eliosismologia è presente da tempo ed è diventata ancor più critica con i modelli solari più recenti e aggiornati. In passato si è studiata la possibilità che la materia oscura catturata gravitazionalmente nelle parti centrali della nostra stella potesse produrre delle modifiche al profilo radiale della velocità del suono nel Sole, ma utilizzando meccanismi di interazione tra materia oscura e nuclei che compongono il Sole più standard».
«Il meccanismo proposto dagli autori è in grado di ottenere un accordo decisamente migliore del profilo radiale della velocità del suono nel Sole. L’unica perplessità risiede nel fatto che la particella di materia oscura necessaria per ottenere l’effetto è molto leggera (3-5 GeV): particelle così leggere sono difficilmente catturate gravitazionalmente dal Sole, tendendo infatti ad ‘evaporare’ su tempi scala brevi. Questo è un punto non discusso nel lavoro e che merita sicuramente un approfondimento», conclude Fornengo.
«Si tratta di una teoria interessante ma ancora tutta da verificare”, aggiunge Marco Pallavicini del Dipartimento di fisica dell’Università di Genova e anch’egli dell’INFN: «La discrepanza in questione è nota da tempo e non è ancora ben compresa . Allo stato attuale, il modello proposto dagli autori va considerato solo come un’ipotesi che potrà essere confermata da ulteriori ricerche. Se si dimostrasse vera, sarebbe di enorme interesse perché oltre a risolvere il problema delle discrepanze fra flussi di neutrini ed eliosismologia, fornirebbe informazioni sulle caratteristiche dell’interazione fra materia oscura, o almeno una componente di essa, (non sappiamo affatto se la materia oscura sia ‘una’ cosa o ‘molte’ cose insieme!) e materia ordinaria. Dunque, si tratta di una interessante possibilità teorica che solo ulteriori dati sperimentali e ulteriori ricerche potranno confermare o smentire».



2 Ruote: quanto costa organizzare un viaggio in moto?



Prezzi e costi di un viaggio on the road: tutte le spese da mettere in conto prima di partire per una vacanza in moto e qualche consiglio per non lasciare che il portafogli rovini il vostro mototurismo!




La scelta dell’itinerario è naturalmente la parte più bella e interessante, ma organizzare un viaggio in moto,  magari all’estero e in Paesi particolarmente lontani, richiede molta attenzione anche a burocrazia e logistica, soprattutto se non si vuole correre il rischio di incappare in spiacevoli imprevisti destinati a diventare brutti ricordi. Proprio per questo, vi abbiamo già parlato di tutto quello che è bene avere sotto controllo prima della partenza, ma finora non abbiamo mai toccato il tasto , a volte dolente  dei costi. Perché viaggiare su due ruote può essere non solo un’esperienza meravigliosa, ma anche costosa, in particolare se si desidera farlo con tutti i comfort del caso.


Quali sono le spese da mettere in preventivo? Fare una stima precisa è ovviamente impossibile, perché molto dipenderà dalla destinazione, dal tempo di permanenza, così come dai gusti e dalle abitudini dei motociclisti in viaggio. Punto per punto, proviamo però insieme a farci un’idea più precisa dei costi da sostenere. Impossibile parlare di cifre prima di un’importante distinzione, quella tra gli amanti del fai da te e tra quanti, soprattutto in caso di viaggi all’estero, preferiscono invece affidarsi a tour operator. Quasi scontato precisare che quest’ultima opzione permette di risparmiarsi tante grane organizzative ma, in compenso, si rivela più gravosa per il conto in banca.


Un tour di due settimane negli Stati Uniti può ad esempio arrivare a costare dai 2.500 agli oltre 7.000 euro a persona, con oscillazioni sensibili nel prezzo che dipenderanno sia dal numero di partecipantii, viaggiare in coppia su una sola moto vi farà risparmiare, sia dalla presenza o meno di una guida. Attenzione, però, perché i prezzi generalmente non comprendono, o comunque conteggiano separatamente, alcuni costi extra di grande importanza, tra cui quello dei voli aerei; tipicamente inclusi sono invece i pernottamenti, il noleggio della moto ed eventuali assicurazioni di viaggio. In ogni caso, buona norma generale è verificare attentamente i servizi compresi nel prezzo. I costi calano in caso di “organizzazione fai date”. In compenso, si fanno più numerose le voci di spesa cui prestare attenzione, a cominciare dall’albergo. Naturalmente, qui sono le aspettative del viaggiatore a fare la differenza perché i pochi euro giornalieri di campeggi e ostelli hanno poco a che vedere con le centinaia di euro che potreste dover sborsare per alberghi più lussuosi, magari prenotati in alta stagione. Altra voce di costo da tenere bene sotto controllo è poi quella relativa al noleggio della moto: alcuni operatori del settore consentono di fare preventivi e prenotazioni online, opzione che vi suggeriamo (e non solo nel caso del noleggio) anche perché, spesso, giocare d’anticipo significa godere di sconti e prezzi agevolati. In ogni caso, quali i costi effettivi del noleggio? Qui, a fare la differenza sono, oltre al luogo,  i tempi, i chilometri da percorrere e il modello scelto: la giornata singola può andare dai 70 euro in su.


Senza voler necessariamente scomodare mete lontane, non bisogna dimenticare che anche gli itinerari più “casalinghi”, affrontati con la propria adorata moto, necessitano del loro budget: oltre all’eventuale albergo (meglio se per motociclisti!), da considerare innanzitutto benzina e pedaggi.  In caso di escursioni vicine ma pur sempre extra-confine, ad esempio Slovenia, Austria o Svizzera, si dovrà inoltre mettere in conto l’acquisto degli appositi contrassegni autostradali. Anche in questo caso, sarà importante informarsi preventivamente perché le soluzioni sono molteplici: in Austria si può ad esempio fare un mini-contrassegno per soli 10 giorni, al costo di poco più di 5 euro per le moto. Non dimenticate poi che anche la moto hai i suoi ovvi costi di manutenzione, ordinaria e straordinaria, cui andranno aggiunti assicurazione, bollo e tagliandi vari.


Si tratta di spese da affrontare una tantum, ma un motociclista sa che per viaggiare comodi e sicuri è bene non trascurare l’equipaggiamento tecnico, anche a costo di spendere qualche euro in più. Di che cifre parliamo? Per esempio, il costo di un buon casco integrale è di qualche centinaio di euro: marca, modello, materiali ed eventuali grafiche speciali faranno l’effettiva differenza sul listino. Discorso simile per giacche e abbigliamento, dove spesso qualità (e marca) si pagano. Meglio comunque non risparmiare proprio su comfort e sicurezza.


Arriviamo infine ai “plus”, accessori non esattamente indispensabili ma che per molti turisti migliorano decisamente la qualità del viaggio. Uno è il navigatore, per cui servono fino a 500 euro per aggiudicarsi un buon prodotto pensato appositamente per la moto; l’altro è l’action cam per riprendere il proprio viaggio e gli spettacolari panorami incontrati. Negli ultimi mesi, l’offerta di “telecamerine” si è notevolmente ampliata a vantaggio dei prezzi, ma il costo dei prodotti più blasonati resta comunque superiore ai 200 euro; per il top di gamma può però servire anche più del doppio della cifra indicata. Il mototurismo, una passione troppo costosa? Indubbiamente, le spese da affrontare possono essere molte, ma l’esperienza è nella maggior parte dei casi tale da ripagare ampiamente costi e fatica organizzativa. Per i viaggi più esotici, estremi ma inevitabilmente anche onerosi si può poi pensare a un aiuto, un piccolo finanziamento per dare vita a un grande sogno. Navigando sul web,  potrete incontrare proposte che possono eventualmente fare al caso vostro: tra i possibili “finanziatori” del progetto Widiba, CheBanca! o, ancora, Hello bank! che, fra gli altri, propone un prestito denominato Prestito Hello Project, con specifiche soluzioni di prestito per giovani e per realizzare piccoli sogni nel cassetto!
A questo punto, non resta che partire! Buon divertimento e buon viaggio!


giovedì 5 marzo 2015

Egitto: Gli enigmi della Terza Piramide di Giza, nota come Micerino.


È decisamente più piccola delle altre due piramidi sorelle della Piana di Giza, fino a un decimo delle dimensioni della Piramide di Cheope. Eppure, la piramide nana fa sorgere questioni pari a quelle delle altre due piramidi.






Nei documentari e nei reportage è spesso trascurata, forse a causa delle sue dimensioni minori.
Il suo nome ufficiale è “Piramide di Menkaure”, più nota in Italia col nome di Micerino (forma italianizzata del greco Mykerinos, forma in cui il nome compare nelle opere dello storico greco Erodoto).
È la terza piramide del complesso di Giza ed è intrigante almeno quanto le sue sorelle giganti più conosciute.
L’altezza totale della Piramide di Micerino è di 65,5 metri, i lati della base quadrata misurano 103,4 metri e il volume totale è pari a 250 mila m³, ovvero un decimo di quella di Cheope, e presentando la curiosa particolarità di blocchi molto più grandi di quella di Chefren.
In origine la piramide doveva essere tutta ricoperta dello spettacolare granito rosso di Assuan, le cui cave si trovano a circa 900 km di distanza. Il lato nord conserva parte del rivestimento, che però verso l’alto non risulta liscio dando così l’impressione di un lavoro non terminato. Ma perché è così piccola?
Alcuni, frettolosamente, affermano che forse non c’era abbastanza spazio a sinistra della Piana di Giza, o che, forse, il costo di costruzione era troppo alto.
In realtà, come oggi si ritiene, le tre piramidi di Giza riproducono la configurazione delle tre stelle della cintura della Costellazione di Orione. La Piramide di Micerino corrisponderebbe alla posizione della stella Mintaka, apparentemente la più piccola delle tre. Quindi le ragioni sarebbero di tipo analogico.


Mintaka è la stella più occidentale della Cintura, in quanto Alnilam e Alnitak sono osservabili, rispettivamente, a poco meno di 2° e a poco meno di 4° a sud-est da essa.
Un altro aspetto davvero curioso che Micerino condivide con le altre due piramidi è il fatto che queste strutture, in realtà, sono costituite da otto lati invece di quattro.
Questo fenomeno è visibile solo dall’alto, durante l’alba e il tramonto degli equinozi di primavera e autunno, quando il sole proietta ombre sulle piramidi che rivelano la particolare conformazione a otto lati.
Perchè i costruttori hanno progettato e realizzato una caratteristica così difficile da vedere? È stata semplicemente una sofisticata scelta estetica, oppure dietro c’è una ragione pratica a noi sconosciuta?
Infine, le pietre di granito che rivestono l’esterno della piramide di Micerino hanno delle curiose sporgenze, caratteristica riscontrata in alcuni siti archeologici dell’America precolombiana, in particolare a Cuzco, Perù, una delle città Inca più conosciute.


Interno della Piramide

Sebbene non sia mai stato trovato nessuna mummia o cadavere, gli egittologi credono che le piramidi fossero luoghi di sepoltura per i faraoni egizi. Ma è davvero così?
L’interno della piramide è molto complesso. Presenta un ingresso a nord a circa 4 metri d’altezza che conduce in un tunnel rivestito di granito rosa di circa 32 metri e con un’inclinazione di 26° ed un successivo grande corridoio di circa 13 metri di lunghezza, 4 metri di larghezza e 4 metri di altezza.
Questo corridoio sbocca nell’originale in una camera posta 6 metri sotto il livello del suolo che presenta una fossa nel pavimento che doveva accogliere un sarcofago e dalla quale parte un corridoio che conduce nel nulla.
Sconcertante la massiccia presenza del granito proveniente dalle lontane cave dell’Alto Egitto, pietra molto dura ed estremamente difficoltosa da lavorare.
Una caratteristica notata dagli studiosi è che i segni lasciati sulle pareti dagli attrezzi degli operai egizi indicano con certezza che il primo corridoio inferiore è stato scavato dall’interno verso l’esterno mentre il secondo, quello superiore esattamente dall’esterno verso l’interno.
Dunque, sebbene piccola e poco valorizzata, la Piramide di Micerino solleva una serie di questioni pari a quelle delle sorelle maggiori, spingendoci a esplorare più profondamente la mentalità di chi ha fatto il lavoro, lo scopo dello sforzo e, soprattutto, il periodo di realizzazione.